il Cross-Link-Dipole
di Mario Bon
4 novembre 2010
rivisto il 17 novembre 2011
I primi a sviluppare ed applicare principi di acustica furono
Greci che realizzarono i famosi teatri all'aperto. I “cardini” del teatro
classico, ancora validi, sono:
-
assenza di ostacoli tra la sorgente e l’ascoltatore (suono
diretto)
-
rinforzo del suono con riflessioni vicine alla sorgente (suono riflesso, prima riflessione)
-
nessuna riflessione alle spalle dell’ascoltatore
(mascheramento).
Da qui la struttura del teatro greco: un anfiteatro a
gradoni costruito attorno al proscenio e, alle spalle di questo, un muro per
riflettere e rinforzare la voce degli attori, coro e musicisti. Anche nei
teatri d'opera del ‘700 le riflessioni sono concentrate vicino alla sorgente
(quinte) mentre la platea e i palchi, alle spalle degli ascoltatori, sono
fortemente fonoassorbenti. Le decorazioni funzionano come efficaci elementi
diffondenti. Forte assorbimento alle spalle dell'ascoltatore e riflessione nei
pressi della sorgente: queste regole, recentemente adottate anche nella
progettazione delle control room (ESS e Natural Room), valgono anche per la
riproduzione HiFi domestica (vds Nippon-Gakki). Per la riproduzione della
musica le superfici riflettenti sono sostituite da superfici diffondenti
(diffusori di Schroeder).
Lo scopo di un
moderno auditorio con migliaia di posti è offrire una qualità di visione
e di ascolto ottimali. Per questo motivo grandi sforzi sono stati fatti per
definire quantità misurabili che rappresentassero le qualità soggettive del
suono (attributi) apprezzate da musicisti e ascoltatori.
Ma l’acustica architettonica tratta ambienti che sono
centinaia di volte più grandi del tipico soggiorno domestico e non è immediato
pensare che ambienti così diversi possano avere caratteristiche comuni: le
differenze ci sono ma solo fino ad un certo punto, anzi, fino ad una certa
frequenza.
Qualsiasi ambiente, di qualsiasi dimensione, presenta una
quantità di modi normali (onde stazionarie). Questi sono pochi e distinti alle
frequenze più basse ed aumentano in numero e densità con l’aumentare della
frequenza. A seguito di ciò l’ambiente
viene studiato, alle basse frequenze,
in modo deterministico (considerando singolarmente ciascun modo) mentre alle alte frequenze i modi normali
sono talmente numerosi e ravvicinati da giustificare un approccio di tipo
statistico. Il limite tra queste due situazioni è fissato dalla frequenza_limite (frequenza di Schroeder) data
dall’espressione:
|
T60 è il tempo di riverberazione medio dell’ambiente in
secondi Volume è il volume dell’ambiente in metri cubi |
Per frequenze superiori alla frequenza_limite si applica il
metodo statistico. La tabella che segue riporta la frequenza limite per tre ambienti di volume decrescente:
Volume in metri
cubi |
Tempo medio di riverberazione T60 in secondi |
Frequenza limite in Hz |
Cammino libero medio (*) |
10000 |
2.8 |
33 |
11 metri |
500 |
2 |
126 |
5 metri |
50 (superficie 16.7 mq) |
0.5 |
220 |
2.4 metri |
(*) lo spazio che mediamente percorre il suono tra due
riflessioni consecutive.
Come si vede, per frequenze superiori a 220 Hz, i tre ambienti vanno trattati,
matematicamente, tutti allo stesso modo applicando il metodo statistico. Del resto la lunghezza d’onda dei 220 Hz ,
pari a 1.58 metri, può essere considerata “piccola” per ogni ambiente regolare
di volume superiore a 50 metri cubi. Ora, indipendentemente dal risultato
numerico, interessa osservare che, a parte le prime quattro ottave dello
spettro musicale (16-256 Hz), tutti gli ambienti vanno descritti con lo stesso
metodo e, di conseguenza, vi si applicano gli stessi risultati. Negli ambienti
molto grandi si deve tenere conto di alcune variabili in più (umidità,
gradiente di temperatura) assolutamente trascurabili negli ambienti domestici.
Allora che differenza c’è tra un ambiente “grande” e uno
“piccolo”? A parte la propagazione delle frequenze più basse, favorita
nell’ambiente più vasto, le caratteristica più rilevanti sono
La distanza tra la sorgente ed il punto di ascolto |
Che determina il
rapporto tra suono diretto e suono diretto |
Lo ITG = ritardo con sui arriva la prima riflessione al
punto di ascolto |
Le prime riflessioni, in un piccolo ambiente possono
essere assorbite, diffuse o direzionate per arrivare con un ritardo maggiore
(vedi FRZ) |
Nell’ambiente più piccolo lo TYG rimane nell’ordine dei
millisecondi e varia di poco anche spostando il punto di ascolto. In un
auditorio la differenza di distanza tra l’ascoltatore e le pareti laterali può
superare i 10 metri e il gap temporale tra il suono diretto e riflesso supera
facilmente la decina di millisecondi. In un grande ambiente, quindi, esiste una
differenza temporale tra le prime riflessioni (che avvengono prevalentemente
sulle parete laterale vicina) e e
riflessioni provenienti dalle pareti più lontane o dal soffitto. Ciò favorisce
la localizzazione delle sorgente. Nelle moderne control room le riflessioni
vengono opportunamente “convogliate” in modo da raggiungere il punto di ascolto
con un ritardo nell’ordine di 10 milli secondi ricreando una Free Reflection
Zone (Zona Priva di Riflessioni).
La ricostruzione della distribuzione spaziale delle sorgenti
dipende alla differenza di messaggi sonori che giungono contemporaneamente
all’orecchio destro e sinistro. La sensazione di dimensione dell’ambiente
dipende invece dal campo riverberato che si forma con un ritardo compreso tra
50 e 80 millisecondi. La presenza di frequenze molto basse, ma forse più ancora
l’assenza di risonanze, viene associata agli ambienti molto vasti.
Questo spiega perché
un violino suona in modo diverso in un teatro e nel soggiorno di casa. Ma qui
parliamo di musica riprodotta e lo scopo è quindi riprodurre, in casa, il violino
possibilmente in modo simile a come lo sentiamo a teatro.
In un ambiente chiuso, o comunque in presenza di superfici
riflettenti, è opportuno scomporre il suono percepito dall’ascoltatore in due
componenti: il suono diretto e suono riflesso. Il suono diretto (o
mono-dimensionale) è quello che arriva all’orecchio per primo senza subire
riflessioni e determina la direzione di provenienza del suono. Il suono diretto
è indipendente dall’ambiente ed è quello che si misura in camera anecoica.
Qualsiasi altro suono subisce almeno una riflessione e viene classificato come
suono riflesso. All’interno del suono riflesso si distinguono le prime
riflessioni e le riflessioni ritardate. Le riflessioni ritardate perovengono da
molte direzioni e non sono utili per determinare la localizzazione della
sorgente ma vengono utilizzate per capire le dimensioni dell’ambiente.
L’apparato uditivo distingue le riflessioni e le utilizza in modo diverso in
base alla correlazione che riesce a stabilire con il suono diretto. La massima
correlazione sussiste tra il suono diretto e la prima riflessione.
Con l’aumentare del ritardo le riflessioni provengono da un
numero crescente di direzioni, divengono sempre più confuse (campo diffuso) e
la correlazione con il suono diretto diventa sempre più labile fino a
scomparire.
Grado di correlazione |
Ritardo in
millisecondi |
Utilizzazione da parte dell’apparato uditivo |
Molto forte |
1-2 |
Dimensioni della sorgente, localizzazione |
Forte |
Fino a 35 |
Soppressione dell’eco e rinforzo del messaggio, distanza |
Meno forte |
Fino a 50 |
Zona di transizione |
Debole |
60-80 |
Dimensione dell’ambiente |
Debolissima |
Oltre 80 |
Possibile sensazione di eco |
|
Oltre 100 |
Percezione dell’eco |
Se dovessimo implementare iun algoritmo per il riconoscimento
delle riflessioni lo faremmo attraverso il calcolo della coerenza. E’ provato
che anche il cervello esegue una elaborazione simile alla convoluzione e questo
comporta certamente un impegno gravoso
di lavoro e “memoria”. Infatti, appena può, l’apparato uditivo smette di
“calcolare” la posizione della sorgente. Per esempio durante un concerto, in un
auditorio, la sorgente (i musicisti) sono visibili e la localizzazione della
sorgente viene demandata alla vista come pure la valutazione della distanza.
Durante un concerto dal vivo l’apparato uditivo “lavora meno” e si stanca
meno.
I suono riflesso si manifesta come riverberazione, rimbombo
o, nei casi più gravi, come eco.
Di sicuro il nostro sistema uditivo utilizza il “segnale
sonoro” in un modo che ha poco a che vedere con le tecniche di analisi dei
segnali mutuate dall’elettronica: A
seconda del grado di correlazione tra suono diretto e suono riflesso il
cervello estrae informazioni per determinare:
-
la posizione della sorgente
-
la dimensione della sorgente
-
la distanza della sorgente
-
la dimensione dello spazio circostante
Una riflessione correlata che raggiunge l’orecchio
all’interno del tempo di integrazione viene utilizzata per migliorare
l’intelligibilità del messaggio e non produce eco. Qualsiasi suono o
riflessione che giunge oltre l’intervallo di integrazione viene percepito come
separato (e se correlato può produrre eco, in questo caso la superficie
riflettente si trova a non meno di 17 metri dalla sorgente). Se il cervello non
sopprimesse gli eco dovuti alle prime riflessioni in un ambiente chiuso
percepiremmo soltanto una gran confusione di echi sovrapposti. Il cervello
quindi agisce per ottimizzare l’intelligibilità in particolare del parlato ed
il riconoscimento del timbro della voce.
Dal punto di vista della teoria dei segnali il modo di
ottenere informazioni da parte del sistema uditivo contrasta con alcuni aspetti
teorici della conservazione dell’informazione impliciti nella teoria dei
segnali: è solo una ulteriore conferma del fatto che il nostro sistema uditivo
utilizza meccanismi di analisi diversi dalle
tecniche di analisi spettrale.
Il sistema uditivo è lento e per accelerare il
riconoscimento usa delle scorciatoie:
-
non ripete operazioni inutili
-
utilizza la memoria
-
utilizza preconcetti
-
utilizza meccanismi di completamento automatico
Il completamento automatico è di quattro tipi: , , ed.
automatico |
Quando, per esempio, una sillaba non chiara viene aggiunta
per interpretare una parola |
dal contesto |
Quando una parola non chiara viene interpretata in base al
significato attribuito ad una frase |
armonico |
Quando vengono aggiunte note a una frase musicale sulla
base dell’armonia generale |
euristico |
Quando si “immagina” il significato di una frase che, in
realtà, non è stata capita |
Detto questo andiamo avanti e torniamo ai diffusori
acustici.
Il suono diretto definisce le “caratteristiche primarie” del
suono (caratteristiche monodimensionali) che sono ben rappresentate dalle
misure eseguite in camera anecoica con
un microfono posto davanti al diffusore:
risposta in frequenza, risposta impulsiva, waterfall, distorsione
integrale, ecc. La qualità del suono diretto dipende dalla qualità della
sorgente. Quando le misure del suono diretto sono modeste il diffusore offre
prestazioni globali modeste.
Qualsiasi suono giunga all’orecchio dopo essere stato
riflesso alimenta il campo riflesso (o “campo riverberato”). In ambienti non
troppo grandi di forma regolare, con superfici fonoassorbenti omogenee ed
uniformemente distribuite, il campo riflesso risulta uniformemente distribuito
(ambiente sabiniano). Si suppone anche
che il campo riflesso e campo diretto siano incoerenti in modo da poterli
sommare “in potenza” (senza considerare la fase relativa e semplificando
grandemente i calcoli). Questo può avvenire solo se la sorgente è abbastanza
lontana dal punto di ascolto e in regime stazionario.
Dal punto di vista acustico un ambiente è caratterizzato
(globalmente) dal “tempo di riverberazione” (W. C. Sabine 1868-1919). Il tempo
di riverberazione è il tempo necessario al campo riflesso per estinguersi: più
le pareti sono riflettenti tanto più a lungo il suono persiste (ambienti
“vivi”), più le pareti sono assorbenti e più rapidamente il suono si estingue
(ambienti “sordi” o “morti”).
Il campo riflesso viene considerato estinto quando il suo
livello si è attenuato di 60 dB. Il tempo necessario affinché questo avvenga è
detto “tempo di riverberazione” e viene
indicato con la sigla T60 (con esplicito riferimento all’attenuazione di
60 dB e per distinguerlo da T10 e dal T30 che corrispondono al tempo necessario
per osservare una riduzione di 10 e 30 dB rispettivamente).
Il tempo di
riverberazione dipende dalla frequenza e viene normalmente misurato tra 125 e
4000 Hz ma si usa anche definire un T60 medio.
Il tempo di riverberazione medio è una “quantità integrale”: un solo
valore rappresenta tutto l’ambiente.
Il T60 ha un riscontro immediato sulla intelligibilità della
parola e della musica. Quanti sono stati nella Basilica di San Pietro in Roma
(tempo di riverberazione 6 secondi) si sono resi conto di quanto sia
“mascherante” un eccessivo riverbero sull’intelligibilità della parola. La
prima applicazione pratica della introduzione della misura del tempo di
riverberazione è stata la definizione del “tempo di riverberazione ottimale”
per gli ambienti in funzione delle attività cui sono destinati (conferenze,
concerti, studi di registrazione, luoghi pubblici, ecc.).
La formula di Sabine permette di prevedere il valore del
tempo di riverberazioni quando il campo
riflesso è perfettamente diffuso (superfici fonoassorbenti omogenee ed
uniformemente distribuite e sorgente omnidirezionale). Si tratta di una
condizione teorica raramente riscontrata nella pratica. Di norma, specie negli
auditori, le superfici assorbenti e riflettenti sono opportunamente concentrate
ed il campo riflesso opportunamente distribuito. Nella pratica la distribuzione
del campo riflesso dipende dalla posizione e dalle caratteristiche di
dispersione della sorgente nell’ambiente (vds line array e impianti di rinforzo
vocale).
Negli ambienti domestici, se non sono presenti superfici
curve che concentrano il suono in zone
ristrette, o sorgenti particolarmente direzionali, è altrettanto raro
riscontrare forti discontinuità nella distribuzione del campo riflesso (motivo
per cui vengono impiegati di diffusori di Schroeder).
Da qualche decennio, all’interno del campo riflesso, è stata
riconosciuta l’importanza dell’energia
sonora che giunge all’ascoltatore immediatamente dopo il suono diretto (prime
riflessioni, indici di chiarezza). Le prime riflessioni sono responsabili della
percezione della estensione “virtuale” della sorgente. Anche nei “piccoli”
ambienti domestici le prime riflessioni mantengono tutta la loro importanza. La
percezione della direzione e delle dimensioni della sorgente sonora è
essenziale alla sopravvivenza e quindi il sistema uditivo ha sviluppato una
sensibilità specifica che correla un suono con la dimensione presunta della
sorgente che lo produce. Ciò ha permesso ai nostri antenati di intuire se,
dietro un cespuglio, ci fosse un leone piuttosto che un passerotto e ciò ha
rappresentato la differenza tra mangiare o essere mangiati. Non dobbiamo mai
dimenticare che “fino a poco tempo fa” l’uomo viveva nelle caverne e, essendo
fisicamente più debole e meno dotato di molti predatori, doveva cavarsela con i
propri sensi e la propria intelligenza. I nostri sensi, tra cui l’udito, sono
gli stessi di qualche decina di migliaia di anni fa. In particolare l’udito è un
efficace sistema di allarme periferico che funziona anche durante il sonno. In
pratica è una estensione del tatto
Per quanto riguarda i diffusori acustici, il campo riflesso prodotto nell’ambiente
determina le “caratteristiche secondarie” della percezione sonora (Spazialità).
Le “caratteristiche secondarie” sono così chiamate non perché meno importanti
ma perché, se quelle “primarie” non sono buone, risultano, del tutto o in
parte, mascherate.
Nel valutare le caratteristiche secondarie di un diffusore
acustico vanno considerati (e non necessariamente in quest’ordine):
-
la disposizione relativa tra diffusore, ascoltatore e
superfici riflettenti e assorbenti
-
il valore del tempo di riverberazione (intelligibilità)
-
il rapporto tra suono diretto e suono riflesso (nella
posizione di ascolto)
-
i rapporti tra il tempo di riverberazione su determinate
bande di frequenza e il tempo di riverberazione in gamma media
In merito ai primi due punti qualche cosa è già stata detta.
Per quanto riguarda il rapporto tra suono diretto e suono riflesso questo è
stato studiato e applicato alla riproduzione HiFi da A. G. Bose con i diffusori
della serie 901. Secondo Bose il
rapporto ottimale tra suono diretto e riflesso è di 1 a 8 come egli dice
rilevabile nelle prime file dei migliori auditori. In effetti quello che
differenzia l’ascolto in platea rispetto al loggione è proprio il diverso
rapporto tra suono diretto e suono riflesso che raggiunge l’ascoltatore. Dove
il suono diretto è predominante (in platea, vicino alla sorgente) il suono è
asciutto e definito, dove il suono riflesso è predominante (in loggione,
lontano dalla sorgente) il suono è più dolce e amalgamato. La “distanza
critica” è la distanza dalla sorgente dove il campo diretto ed il campo
riflesso hanno lo stesso livello: per distanze inferiori prevale il suono
diretto, per distanze superiori prevale il suono riflesso.
Volume in metri cubi (Q sorgente = 1) |
Tempo medio di riverberazione T60 in secondi |
Distanza critica in metri |
500 |
0.81 |
1.48 |
288 |
0.67 |
1.25 |
50 (superficie 16.7 mq) |
0.5 |
0.64 |
Dalla tabella qui sopra si vede che la “distanza critica” ,
per una sorgente omnidirezionale, è normalmente inferiore alla distanza di
ascolto anche in ambiente assorbenti. Ma con i diffusori a radiazione diretta
la distanza critica aumenta al crescere della frequenza e questo “avvicina” al
punto di ascolto gli strumenti che emettono alte frequenze. A causa di ciò
tutto avviene come se la sorgente (il diffusore acustico) fosse più lontano per
le frequenze medie e più vicino per quelle acute. In effetti non è raro
ascoltare dei diffusori acustici dove i piatti della batteria appaiono
“davanti” ai tweeter mentre i tamburi sembrano essere “dietro” ai diffusori.
Anche questo è un aspetto da non sottovalutare.
Dunque in un auditorio o in un teatro il pubblico si trova
ben oltre la distanza critica e percepisce una quantità maggiore di campo
riflesso. In ambiente domestico la distanza critica non è costante rispetto
alla frequenza e tende ad aumentare sulle alte frequenze (dove il tempo di
riverberazione diminuisce).
Ci sono persone che amano andare a teatro e sedersi in prima
fila, chi predilige i palchi e gli appassionati del loggione. Nessuno ha, a
priori, torto o ragione: semplicemente queste persone hanno gusti diversi. C’è
da aspettarsi che scelgano anche diffusori acustici con caratteristiche diverse
e che sistemino diversamente i diffusori acustici nell’ambiente (più lontani o
vicini al punto di ascolto). Parallelamente ci sono registrazioni fatte con
molti microfoni posti a pochi centimetri dagli strumenti e altre fatte con
pochi microfoni posti più lontano cosa che produce risultati diversi con
detrattori ed estimatori dell’una o dell’altra soluzione.
A questo punto apriamo una breve parentesi: nell’HiFi
domestica sembra prevalere la richiesta, comprensibile, di una sorta di
iper-realismo. Mentre a teatro ci si lascia prendere dall’emozione e dal
coinvolgimento, nell’ascolto domestico, che è spesso fortemente intenzionale,
si richiedono i dettagli, sempre nuovi dettagli ad ogni nuovo ascolto. Questo
iper-realismo è la causa (o l’effetto) di un certo modo di riprendere gli
eventi sonori: nelle esecuzioni dal vivo le percussioni del timpano non sono
cannonate in primo piano (il timpano è molto lontano, dietro a tutti gli orchestrali)
e il contenuto di basse frequenze è, tutto sommato, limitato. Ci sono numerosi
aneddoti che raccontano di audiofili
rimasti delusi dalla “carenza di risposta sui bassi” delle esecuzioni
dal vivo. Fine della parentesi.
Rimane da dire qualche cosa sui rapporti tra il tempo di
riverberazione su determinate bande di frequenza e il tempo di riverberazione
in gamma media.
Nell’ambito dell’acustica architettonica sono stati definiti
sia gli attributi del suono che le quantità fisicamente misurabili che li
rappresentano. Lo scopo è prevedere le caratteristiche acustiche degli auditori
in sede di progetto, anche perché le correzioni acustiche “a posteriori” sono
sempre complicate e molto costose.
Beranek (1996) ha definito un insieme di diciotto attributi soggettive ed altrettante
quantità misurabili correlate (altri studiosi si sono fermati a sette o otto o
anche solo a tre ma la cosa è inessenziale). Tra queste la
"brillantezza" o “brillanza” (Brilliance) espressa numericamente
come:
(tempo di riverberazione medio misurato da 2 a 4 kz)
Brilliance = ---------------------------------------------------------------------------
(tempo di riverberazione medio misurato in gamma media)
Questa
quantità è correlata "alla percezione limpida dei suoni acuti e delle
armoniche alte delle note", una qualità molto attraente per la
riproduzione HiFi. Se diamo fiducia al Beranek per aumentare la Brillantezza si
deve intervenire sul campo riflesso aumentando il tempo di riverberazione
(ovvero la persistenza) di suoni tra 2 e 4 kHz. Ci sono quindi due possibilità:
modificare l'ambiente d’ascolto o modificare la dispersione della sorgente.
Il Beranek
definisce anche un “Rapporto dei Bassi” collegato all’attributo soggettivo
“Warmth” (Calore) che rappresenta la sensazione di “vivezza e prontezza dei
bassi” così definito:
(tempo di riverberazione medio misurato da 125 a 250 Hz)
Warmth = --------------------------------------------------------------------------------
(tempo di
riverberazione medio misurato in gamma media)
Bassi più
vivi e pronti si otterrebbero, sempre secondo Beranek, intervenendo sul tempo
di riverberazione delle due ottave centrate a 125 e 250 Hz.
La
realizzazione pratica del Cross-Link-Dipole
Ora
supponiamo di avere un diffusore acustico che produce un buon suono diretto:
una risposta in frequenza estesa e regolare, buona risposta impulsiva, bassa distorsione, ecc. . E se volessimo
migliorare ulteriormente conservando le qualità del suono diretto? Dobbiamo
intervenire sul campo riflesso prodotto dal diffusore. Ci sono due modi:
modificare la dispersione orizzontale e verticale o aggiungere una sorgente
ausiliaria.
Fino a 200
Hz, il 99% dei diffusori acustici in commercio è omnidirezionale e c’è quindi
poco da fare se non posizionare diversamente i diffusori rispetto alle pareti
vicine. Lavorando sulla dispersione in gamma media e medio-alta, o
semplicemente spostando e orientando diversamente i diffusori, si può
intervenire sulla Spazialità.
E se
vogliamo aumentare "la percezione limpida dei suoni acuti e delle
armoniche alte delle note"?
Istintivamente cercheremmo di aumentare l’emissione del tweeter …non è
immediato collegare la “brillantezza” al campo riflesso. La Brillantezza non va
confusa con la Chiarezza (o dettaglio).
E se
vogliamo aumentare il dettaglio per un ascolto “non intenzionale”? Dobbiamo
aumentare il numero di informazioni che giungono all’orecchio il che non
significa necessariamente aumentare il livello di una certa banda di frequenze
infatti si è detto aumentare il numero di informazioni non l’intensità del
campo diretto.
Una serie
di test eseguiti da chi scrive (in ambienti piuttosto grandi e con più coppie
di diffusori) ha confermato che aumentando l’energia nel campo riflesso a
partire da circa 2Khz si induce nell'ascoltatore una sensazione di maggiore
Brillantezza nella riproduzione. Allo stesso tempo migliora il senso di
spazialità e la sensazione di
profondità della scena acustica tanto che la riproduzione sembra più
dettagliata.
Verificato
il principio lo si deve applicare adattandolo alla struttura del diffusore
acustico HiFi. Ciò si può fare aggiungendo un sistema di radiazione posteriore
che alimenta il campo riflesso in modo autonomo. Automaticamente sorge il
problema dell'interferenza tra gli altoparlanti anteriori e posteriori che, se
avviene lungo l’asse di ascolto, inevitabilmente degrada la risposta impulsiva
(e tutte le caratteristiche primarie del suono).
Una soluzione consiste nel far funzionare un
tweeter posteriore nella gamma più alta dello spettro audio dove, sia il
tweeter anteriore che quello posteriore, irradiano su un angolo solido minore
di 180 gradi. Ciò richiede che la banda passante del tweeter posteriore sia
limitata inferiormente a circa 4000 Hz. Ma per aumentare la “Brilliance"
il tweeter posteriore deve irradiare almeno una ottava più in basso e una parte
consistente della radiazione posteriore raggiunge l'asse di ascolto producendo l'effetto
di un filtro a pettine con tutti gli effetti negativi che ne conseguono.
Il suono
diretto determina le caratteristiche primarie del suono e la risposta ai
transitori ne è un aspetto molto importante quindi la radiazione posteriore non
deve interferire con il suono diretto. Il sistema posteriore può irradiare
ovunque ma non sull’asse principale di ascolto. Serve allora una sorgente
“anisotropa”. Il dipolo acustico è la sorgente anisotropa più semplice. lungo
l’asse del dipolo la radiazione è nulla ma rimane nulla su un angolo verticale
piuttosto stretto. Per aumentare tale angolo la sorgente posteriore è
realizzata con una coppia di dipoli disposti perpendicolarmente all'asse
principale di ascolto.Come si vede nelle figure la radiazione del "doppio
dipolo" è nulla sull'asse di ascolto e massima verso l'alto e verso il
basso. La radiazione degli altoparlanti posteriori giunge all'ascoltatore solo
dopo essere stata riflessa dalle pareti una o più volte (vds figure) ma la
radiazione verso le pareti laterali è praticamente nulla perché sul piano
orizzontale, che contiene l’asse del dipolo, la radiazione è nulla. Considerate
la distanza tra i 4 tweeter e il fatto che l’asse di radiazione nulla del
doppio dipolo deve corrispondere all’asse di radiazione del tweeter anteriore,
si vede come questo sistema possa trovare posto solo su diffusori acustici
convenientemente sviluppati in altezza. Questa limitazione è stata superata
dalla tripletta adottata per modello Callas e Grand Callas.
|
Figura 1
e 2: a sinistra:Schema di un dipolo realizzato con due tweeter a cupola. Un
dipolo acustico è costituito, per definizione, da una coppia di sorgenti
uguali, ma con fase opposta, separate da una distanza fissa. A destra: Dispersione verticale di
un dipolo a tre frequenze diverse: rosso = 1000 Hz, nero = 1500 Hz e viola =
1871 Hz. Lungo l’asse perpendicolare al dipolo l’emissione è nulla ma
l’angolo è troppo stretto. |
|
Figura 3:Dispersione verticale del
doppio dipolo montato sulla Tebaldi: la zona a radiazione nulla si estende su
un angolo maggiore. |
Una volta
realizzato il diffusore definitivo ed eseguiti i test di ascolto, il contributo della sorgente posteriore,
chiaramente udibile, è risultato conforme a quanto prevedibile teoricamente sia
per quanto riguarda la Brillanza, l’aumento di Spazialità e anche in termini di
allargamento della zona isotipica (vedi oltre). L'effetto della sorgente
posteriore appare tanto più evidente quanto più il programma sonoro da
riprodurre è complicato (grande orchestra) mentre, come previsto, può non
essere gradito con le registrazioni monofoniche (ormai molto rare).
Il sistema
interviene sul rapporto tra suono diretto e suono riflesso e funziona in una
ampia gamma di situazioni. L’effetto risulta attenuato soltanto se le superfici
fonoassorbenti sono concentrate alle spalle dei diffusori mentre la distanza
dalle pareti vicine non appare critica e può essere ridotta anche una ventina
di centimetri.
La
sorgente a doppio dipolo è stata chiamata Crossed-Linked-Dipole (Dipolo
Incrociato) per distinguerlo da altri sistemi che utilizzano dipoli (i pannelli
elettrostatici, diffusori a riflessione,
ecc.).
Alla fine
questa soluzione appare ottimale da tutti i punti di vista:
-
il contributo alle riflessioni laterali nullo (non allarga
la sorgente)
-
il contributo sull’asse di ascolto nullo (preserva la qualità
del suono diretto)
-
il contributo alla localizzazione nullo (il suono giunge
dopo le prime riflessioni)
-
riduce la distanza critica alle frequenze medio alte
-
ristabilisce la risposta in potenza (dove il tweeter diventa
direttivo)
-
aumenta il livello del campo riverberato tra 2 e 4 kHz
(aumenta la Brillanza)
-
aumenta le riflessioni che giungono all’orecchio con ritardo
superiore a 3 mS (aumenta l’energia nella zona si fusione aumentando
l’intelligibilità del messaggio)
-
aumenta il senso di profondità aumentando le informazioni
che giungono alle orecchie
-
la fase della radiazione posteriore (la fase del CLD) è
ininfluente
La
Tripletta
Come si
può vedere nella figura che segue la tripletta è formata da tre sorgenti
allineate verticalmente (3 tweeter in questo caso): due sono connesse in
parallelo mentre la terza è collegata in serie ed in opposizione di fase. La
sovrapposizione delle tre sorgenti sull’asse si simmetria produce (1/2 -1 + 1/2) = 0. La tripletta viene posta sul
lato posteriore del diffusore acustico allineata con gli altoparlanti che
irradiano frontalmente.
|
|
La
figura mostra anche le cadute di tensione ai capi degli altoparlanti e l’SPL
relativo prodotto (1/2 -1 1/2) |
|
due
differenti versioni della tripletta. La seconda presenta impedenza di
ingresso più bassa. |
Il tweeter
scelto per realizzare la tripletta misura solo 53 millimetri di diametro e complessivamente la tripletta occupa una ventina di centimetri
(la metà del CLD). La figura che segue mostra la dispersione verticale della
Tripletta. L’area di radiazione nulla si estende su un angolo di 30 gradi e non
si vedono minimi secondari alle frequenze di interesse. Le caratteristiche
della tripletta sono del tutto simili a quelle del CLD con il vantaggio che la
tripletta può essere applicata anche su diffusori acustici di dimensioni
ridotte (il modello Callas è un diffusore da stand).
|
Tripletta:
risposta in frequenza e dispersione verticale Rosso
15° - Verde 30° - Blu 45° - Giallo 60° |
Si noti
che, a causa delle condizioni geometriche, il suono irradiato dalla tripletta
(o dal CLD) raggiunge l’ascoltatore dopo almeno un paio di riflessioni sul
pavimento, soffitto o sulla parete di fondo e che c’è un contributo nullo o
trascurabile alle prime riflessioni sulle pareti laterali. Questo significa che
la tripletta non ha un effetto sulla dimensione orizzontale dello stage sonoro.
Al massimo si ottiene la sensazione di un allargamento della scena “dietro” ai
diffusori.
La
Tripletta, come il CLD, funziona correttamente in una grande varietà di
situazioni. La parete di fondo può essere anche moderatamente riflettente
mentre la parte predominante dell’assorbimento sonoro dovrebbe avvenire alle
spalle dell’ascoltatore. La condizione peggiore per la tripletta (come per il
CLD) si ha quando l’assorbimento sonoro è concentrato attorno ai
diffusori.
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Distorsione
prodotta dal tweeter in funzione della frequenza per 96 dB SPL in asse.
Minore di 0.5% tra 2 e 9 kHz |
(*) In una stanza di 5 x 4 x 2.6 metri la frequenza
di Schroeder di trova a 265 Hz. Sopra tale frequenza il campo riverberato
(suono riflesso) risulta uniformemente distribuito in tutto l’ambiente e
valgono quindi le considerazioni di tipo statistico.
(**) Affinché ciò sia rigorosamente vero è necessario
che il tempo di autocorrelazione del segnale musicale sia breve o la stanza
molto grande. “Breve” in questo caso significa minore del tempo che il suono
impiega per percorrere il cammino libero medio tra due riflessioni successive.
In realtà le cose sembrano funzionare
anche in condizioni molto meno stringenti.
(***) Il segnale (elettrico) che alimenta un
altoparlante è monodimensionale (ampiezza in funzione del tempo). I campo
sonoro prodotto dall’altoparlante è tridimensionale. La direttività dell’altoparlante
non dipende dal segnale che lo alimenta che, per contro, contiene anche la
riverberazione, l’eco ed altri effetti ambientali dovuti al luogo dove è
avvenuta la registrazione.
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Tebaldi (2005) |
il doppio dipolo realizzato con 4 tweeter Scanspeak 9700
montato sul pannello posteriore della Tebaldi. |
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Modello Caruso con CLD(2006) |
Modello
Malibran con CLD (2009). Sullo sfondo una Grand Callas. |